I primi documenti che attestano la produzione di terracotta nella zona del Chianti risalgono all’XI secolo: un documento autentico dell’epoca ci informa della presenza di produttori di tegole sul territorio dell’Impruneta.
Intorno al 1300 già esisteva una corporazione locale che riuniva gli artigiani per la protezione e la regolamentazione della lavorazione della terracotta.

Gli archivi municipali e parrocchiali di Impruneta e l’Archivio di Stato di Firenze conservano numerose fonti documentarie, che mostrano come la produzione della terracotta, in particolare dal XV secolo fino ad oggi, abbia caratterizzato l’economia e la cultura del territorio di Impruneta.

L’argilla di Impruneta

La terra di Impruneta è molto ricca di galestro, un tipo particolare di argilla con speciali caratteristiche di colore e di resistenza, soprattutto al freddo, da cui l’appellativo di “terracotta antigelo”.
Il galestro viene estratto da cave a cielo aperto nei pressi di Impruneta, vicino Firenze, nelle valli dei fiumi Ema e Greve. La zona di estrazione è limitata (circa 200 km2): per questo il valore del materiale rimane elevato!

L’ossido di ferro determina la particolare sfumatura rossa del prodotto finito, mentre sali e carbonato di calcio garantiscono una certa permeabilità e porosità.
Caratteristica fondamentale per vasi da giardino o giare da olio, in modo da impedire il ristagno dell’acqua e assicurare una buona aerazione all’interno del recipiente.

L’argilla estratta, conservata al sole, deve essere selezionata e separata dai materiali di scarto in modo manuale.
Poi si provvede alla macinatura, con l’ausilio di pesanti macchinari frantumatori, per ottenere una polvere, più o meno granulosa, passata poi al setaccio e conservata in silos.
Infine, attraverso macchine di miscelazione, all’argilla viene aggiunta una certa quantità d’acqua per renderla malleabile: l’abilità e l’esperienza dell’artigiano garantiranno un prodotto unico.

Il lavoro dell’artigiano sull’argilla

L’artigiano dell’Impruneta lavora l’argilla secondo una tradizione antica di secoli.
Un vaso può essere formato “a modello”, attraverso degli stampi in gesso, sui quali si stende il materiale. Dopo circa un giorno (affinché il materiale si secchi correttamente) lo stampo viene rimosso e il prodotto rifinito a mano.

In alternativa, il metodo del “lavoro tondo” prevede l’utilizzo di uno stampo in terracotta a cui viene aggiunta l’argilla “a colombini” all’esterno. Con l’utilizzo del tornio, invece, è il pezzo di argilla che gira su sé stesso per essere lavorato. Quando la terra è compatta, viene rimosso lo stampo e il prodotto viene rifinito aggiungendo bordi e decorazioni.

Infine, esiste la tecnica del “lavoro di fondo”, che solo pochi e sapienti artigiani sono in grado di utilizzare.
Si parte da una palla d’argilla, senza usare stampi, ma solo progetti con specifiche dimensioni (altezza, larghezza).
In questo caso, l’argilla prende di giorno in giorno la sua forma sempre più definita tra le mani dell’artigiano.
Possono essere necessarie alcune settimane per completare il lavoro.

Essiccazione e cottura

I prodotti realizzati vengono lasciati all’aria in posti riparati per essiccarsi, facendo attenzione ad evitare fratture e deformazioni.
Bisogna tener presente che l’argilla, seccandosi, si restringe, diminuendo il suo volume di circa il 10-15%.
In seguito, vengono posti in veri e propri essiccatoi, come vecchi forni non più in uso alimentati dall’aria calda proveniente dal raffreddamento dei forni attivi.
I prodotti sono quindi introdotti nella camera di cottura con precauzione (uno sull’altro, ma separati da supporti in materiale refrattario).

Per la cottura nei forni, oggi alimentati a metano, sono necessarie circa 24 ore per portare gradualmente la temperatura a poco meno di 1000 °C.
In seguito occorrono circa 12 ore per stabilizzare il materiale.

Due giorni dopo la cottura, è possibile ritirare i prodotti dal forno e bagnarli abbondantemente con acqua per stendere la calce all’interno. Preparandoli quindi per l’esposizione e la vendita.